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Incastrato il commando dei tir Seminavano il terrore tra i camionisti

POLIZIA

Sabato 09 Novembre 2013 – 13:25 di 

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La polizia ha arrestato cinque catanesi accusati  di essere i rapinatori che hanno preso d’assalto un autoarticolato lo scorso 11 dicembre 2011 nel messinese. LE FOTO DEGLI ARRESTATI

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CATANIA – Era diventato l’incubo dei camionisti. Il commando armato che lo scorso 11 dicembre aveva rapinato due autotrasportatori a San Pier Niceto nel Messinese. Il racconto dell’orrore dei protagonisti aveva fatto in poche settimane il giro tra le imprese di autotrasporti e ogni trasferta per gli autisti di tir era diventato un’odissea interminabile. In cinque sono finiti in manette, i poliziotti del Commissariato di Librino dopo un anno di indagini, coordinate dai Pm messinesi, hanno eseguito l’ordine di arresto emesso dal Gip di Barcellona Pozzo di Gotto.

Alfredo Squatrito, 51 anni, Orazio Giuffrida, 49 anni, Antonino Valentino Scalia, Salvatore Musumeci, rispettivamente di 40 e 34 anni, e il 35enne Giuseppe Fascetta, già detenuto per altra causa. I reati contestati sono rapina pluriaggravata, sequestro di persona, porto illegale di armi comuni da sparo e lesioni.

I FATTI – Quella mattina dell’11 dicembre, a San Piero Niceto, due autisti stavano viaggiando a bordo di un tir carico di generi alimentari. All’improvviso sono stati bloccati da un commando armato composto da quattro persone. Pistola in mano si sono impossessati del camion ed hanno incappucciato i due conducenti. Un vero e proprio sequestro di personaUno dei due aveva cercato invano di opporsi alla rapina ma è stato colpito con il calcio della pistola. E’ partito il viaggio verso Catania, una volta arrivati al casello di Giarre è stata lasciata l’autostrada per imboccare la strada che conduce alla cittadina etnea. Momenti convulsi per i due autotrasportatori che hanno temuto il peggio per tutto il tempo, anche perchè non potevano vedere cosa stava succedendo. Strattonati non appena il camion è stato arrestato i due sono stati costretti a salire a bordo di una macchina, guidata da un quinto complice, che arrivava – secondo le ricostruzioni – dalle  campagne tra Santa Venerina e Zafferana, dove poi i due autisti sono stati abbandonati.

LE INDAGINI – La stessa sera la Squadra Mobile è riuscita a localizzare la motrice del mezzo rubato che era stata parcheggiata in un area isolata del territorio acese. Pochi giorni dopo è stato recuperato al porto di Catania il rimorchio dell’autoarticolato, senza il carico, che stata peressere inviato ad una destinazione mai identificata. Sono state autorizzate le intercettazioni e è partita un’articolata attività di intelligence anche con il supporto degli agenti del Commissariato di Librino, perchè i sospetti portavano a pensare che alcuni componenti del gruppo criminale vivevano proprio nel quartiere catanese. Un commando ben organizzato, l’assalto al tir infatti era stato studiato nei minimi particolari. Sopralluoghi e strategie sul percorso e sul luogo migliore dove mettere a segno il colpo. Un lavoro minuzioso e delicato ha permesso di identificare i cinque rapinatori, ma anche il proprietario del magazzino di Santa Venerina, dove era stata scaricata la merce. Un bottino del valore commerciale di 100 mila euro di prodotti alimentari. Nessun provvedimento è stato preso nei confronti dell’uomo che aveva messo a disposizione il deposito.

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Ultima modifica: 09 Novembre ore 13:31

 

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Mafia e appalti

Nel Messinese, i nomi degli arrestati

Mafia e appalti: 15 arresti
Sequestri per 15 milioni

Martedì 24 Luglio 2012 09:24 di

Associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e intestazione fittizia di beni, aggravati dalle finalità mafiose. Con queste accuse i carabinieri stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare contro il clan di Barcellona Pozzo di Gotto.

Ancora una triade, ancora un accordo base di spartizione del territorio e l’asse criminale si ricompone. Palermo-Messina-Catania, le tre città siciliane riconfermano gli assetti organizzativi delle grandi famiglie che gestiscono il crimine organizzato sull’Isola in materia di appalti pubblici ed estorsioni. Con l’operazione Gotha 3, scattata all’alba di stamani con 15 arresti ed il sequestro di beni per 15 milioni di euro, i carabinieri del Ros, coordinati dalla Dda di Messina, procuratore capo Guido Lo Forte (nella foto) in testa, e poi Angelo Cavallo, Fabio D’Anna, Giuseppe Verzera e Vito di Giorgio, hanno snodato la trama criminale intessuta da tre clan mafiosi.Secondo la ricostruzione degli inquirenti, sotto la regia della cosca palermitana, al tempo capeggiata dal boss Salvatore Lo Piccolo era nata la triade, composta dallo stesso Lo Piccolo, dal boss barcellonese Tindaro Calabrese e da quello catanese, Angelo Santapaola. Tre nomi eccellenti del crimine per stabilire un patto: la spartizione di tutti gli appalti che ricadevano sul territorio di competenza dell’uno o l’altro, o l’altro ancora.

Ma se la mafia siglava accordi criminali, lo Stato non rimaneva immobile. Il procuratore capo Lo Forte, infatti, parla di un progetto investigativo, sorto tra la procura di Messina ed i Ros, il gruppo anticrimine dei carabinieri, ideato per accertare i vari collegamenti esistenti tra le famiglie mafiose. E’ dall’arresto del boss palermitano Salvatore Lo Turco che prende il via il progetto. Vengono ritrovati pizzini nel suo covo, che una volta decodificati svelano l’esistenza della triade.

Si scopre anche che l’accordo base prevedeva, tra l’altro, anche un rapporto di mutua assistenza tra i “firmatari”: gli affiliati di uno dei tre clan, se latitanti, venivano “ospitati” sul territorio “amico”. Un’intercettazione rivela che a favorire la latitanza a Capo D’Orlando del braccio destro di Lo Piccolo, Gaspare Pulizzi, reggente della famiglia mafiosa di Carini, sarebbe stato, su mandato di Calabrese, l’imprenditore Giovanni Bontempo. Ed ancora, un pizzino svela che Santapaola e Calabrese (Catania-Barcellona), si erano suddivisi gli appalti di zona e il giro di estorsioni.

C’era una figura d’eccellenza, tra loro, un personaggio carismatico, di cultura, uno sfuggito ai rigori della legge per un soffio: l’avvocato barcellonese Rosario Pio Cattafi. Già indagato nel passato perchè ritenuto vicino al crimine organizzato, sempre assolto o destinatario di richieste di archiviazione, per gli inquirenti Cattafi sarebbe il trait d’union tra la famiglia catanese e quella del Longano. Due pentiti catanesi dicono dell’avvocato, che godesse del rispetto dei Santapaola. Dicono che con questi ultimi e Giuseppe Gullotti, il boss di Barcellona, Cattafi partecipasse a summit di mafia nel catanese, nei locali dell’impresa Conti. A lui lo scorso anno furono sequestrati beni per sette milioni di euro. E sempre su di lui, in passato, cadde l’accusa di traffico d’armi.

Con l’operazione Gotha 3, dunque, sarebbe stato decapitato il crimine organizzato di Barcellona. Le indagini, inoltre, hanno permesso di far luce su un triplice omicidio avvenuto in quella zona nel ’93, quando, nella notte tra il 3 ed il 4 settembre, furono uccisi Sergio Raimondi, Giuseppe Martino e Giuseppe Geraci, tre ragazzi, tre “cani sciolti” che, compiendo rapine in proprio, erano sfuggiti al controllo della “famiglia”. I quindici milioni di euro sequestrati nel corso dell’odierna operazione fanno capo agli imprenditori Giovanni Bontempo, Carmelo Giambò e Giuseppe Triolo. Tra gli arrestati anche un bancario messinese, Sergio D’Argenio. Secondo l’accusa, in cambio di una agevolazione per fare ottenere finanziamenti richiesti da imprenditori alla banca per cui lavorava, la Popolare di Lodi, avrebbe imposto il versamento a suo favore di due bonifici di mille euro ciascuno e, in altri casi, il dono di due microcar o, a saziare appetiti di gola, di sostanziosi quantitativi di tonno o ostriche.

Gli arrestati. Le persone alle quali i carabinieri hanno notificato stamani le ordinaze di custodia cautelare sono l’imprenditore Giovanni Bontempo, 35 anni, il boss Tindaro Calabrese, 39 anni, Antonino Calderone, 37 anni, Salvatore Campanino, 48 anni, Agostino Campisi, 51 anni, l’avvocato Rosario Pio Cattafi, il funzionario di banca Sergio D’Argerio, 52 anni, il boss Carmelo Giambò, 41 anni, il boss Giuseppe Isgrò, 47 anni, Giusi Lina Perdichizzi, 37 anni, il boss Giovanni Rao, 51 anni, Roberto Ravidà, 57 anni, Giuseppe Ruggeri, 47 anni, Carmelo Trifirò, 40 anni e Giuseppe Triolo, 36 anni. A Calabrese, Trifirò, Campisi, Giambò e Isgrò il provvedimento è stato notificato in carcere. Sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, omicidio ed estorsione.

Le società sequestrate
Il sequestro di 15 milioni di euro operato oggi dai carabinieri ha riguardato nove società riconducibili agli arrestati Carmelo Giambò, Giovanni Bontempo e Giuseppe Triolo. Si tratta delle srl Nilo Costruzioni, Biebi, Operis costruzioni, Sicilcasa, Euromare, Edil Sicilia, Ng Costruzioni, della snc Tg Trasporti di Triolo Giuseppe & C. e delle imprese individuali Perdichizzi Giusy Lina e Giambò Carmelo. Sull’operazione è intervenuto anche Giuseppe Scandurra della direzione nazionale delle associazione antiracket e antiusura: “Mi complimento con quanto fatto dalla Procura di Messina, dalla Dda e dai carabinieri che hanno messo a segno un’importante operazione antimafia confiscando anche beni per 15 mln di euro. L’aggressione ai beni e ai patrimoni della criminalità organizzata è la strategia vincente per sconfiggere i clan. Auspichiamo che come richiesto anche recentemente dal capo della Procura di Messina Guido Lo Forte quanto prima sia realizzata anche a Messina una sezione collegiale dedicata esclusivamente alle misure di prevenzione”. Soddisfatto anche il procuratore Lo Forte: “Con questa operazione – ha detto – sono più chiari i rapporti tra i clan palermitani e messinesi”. Dello stesso parere Leonida Primicerio, della procura nazionale antimafia che ha sottolineato come “la preziosa sinergia tra reparti speciali e locali delle forze dell’ordine faccia conquistare grandi risultati”.

Ultima modifica: 24 Luglio ore 18:43
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