Due inchieste sul Cara di Mineo

Fascicoli aperti da Dda di Catania e Procura di Caltagirone. Il procuratore Salvi oggi in Antimafia nazionale

  • Giovedì 15 Gennaio 2015
  • I FATTI,
  • pagina 9

Mario Barresi
Catania. Più che un troncone dell’indagine su “Mafia Capitale” questo è destinato a diventare un encliclopedico Romanzo Criminale. Rigorosamente scritto in Sicilia. Puntando dritto su Mineo. Ma non soltanto. Alcune delle carte dei pm di Roma sono passate nelle mani dei magistrati della Dda di Catania; un fascicolo è stato aperto anche dalla Procura di Caltagirone, in sinergia con i colleghi etnei. Tutti al lavoro su un’inchiesta (in atto contro ignoti e senza indagati) che si annuncia clamorosa e complicata allo stesso tempo. Un pentolone che ribolle già da qualche tempo. Con dentro corruzione, malaffare e appalti sospetti, dove sguazzano politici, faccendieri e mafiosi. Al centro c’è il Cara di Mineo, il più grande centro migranti di tutta Europa, ma anche tutto il sistema di accoglienza, gestito da una rete di coop e diluito nei progetti Sprar. In in un altro filone giudiziario precedente agli scandali romani, c’è anche un delicatissimo approfondimento sul legame fra trafficanti di uomini e infiltrazioni del terrorismo.
Le indagini sulle zone grigie nella macchina d’accoglienza dei migranti nel Calatino hanno dunque trovato una “triangolazione” Roma-Catania-Caltagirone. In prima linea c’è il procuratore di Catania, Giovanni Salvi, che sui reati legati all’immigrazione ha già dimostrato di sapere cosa cercare e dove trovarlo: gli arresti dei due tunisini, nel 2013, sospettati di appartenere a una cellula terroristica che faceva addestramento sull’Etna, il mandato di cattura internazionale per il 32enne egiziano ritenuto il superboss di un’organizzazione che gestisce i viaggi degli scafisti con destinazione Sicilia, ma anche i numerosi arresti e le 109 condanne, negli ultimi tre anni, per il traffico di esseri umani. Stavolta il profilo è diverso, pur essendoci dei punti in comune con tutte le attività finora svolte. Perché adesso si toccano i fili dei potentati economici, delle complicità politiche e delle infiltrazioni mafiose, tutti tenuti assieme dall’aggrovigliato nodo della corruzione. Che parte da Roma e arriva in Sicilia; per tornare nella Capitale in termini di schizzi di fango che sfiorano e imbarazzano il governo Renzi. Su questi aspetti oggi, a Roma, il procuratore Salvi sarà sentito un’audizione in commissione nazionale Antimafia. Con la quale si confronterà sulle distorsioni nel sistema di accoglienza nel Catanese; alla luce delle carte dell’inchiesta romana, ma soprattutto in base ai primi riscontri delle indagini aperte sull’asse fra Catania e Caltagirone, dove il procuratore Giuseppe Verzera, insediatosi qualche giorno fa, sta già studiando con attenzione il “faldone Mineo” trovato in cima alla pila di carte trovate nel suo nuovo ufficio.
Ma del caso Cara si occupa già da qualche tempo la commissione Antimafia dell’Ars. Il presidente Nello Musumeci rivendica di «averci visto bene anche prima dell’inchiesta romana, perché il dossier è aperto dal gennaio 2014 per verificare la regolarità della gara d’appalto per la gestione del Cara». Un mese fa è stata istituita una sottocommissione, affidata al deputato regionale Girolamo Fazio, «per un’istruttoria sulle responsabilità politico-amministrative». L’Antimafia siciliana vuole chiarire come e perché è nato il consorzio dei Comuni che gestisce il Cara (al quale alcuni sindaci non aderirono), il ruolo delle cooperative e «se è vero che molte attività dirette e indotte siano ricollegabili a singole persone», indentità e rapporti familiari di chi gestisce la rete degli Sprar e idonenità di queste strutture, regolarità delle assunzioni e dei contratti nei centri. L’Antimafia dell’Ars ha già sentito i sindaci di Ramacca, San Cono e Licodia Eubea, oltre ad acquisire documenti dall’Ufficio del lavoro. Fra due settimane il confronto con gli altri primi cittadini del territorio, con i responsabili delle cooperative e «con alcuni cittadini che hanno chiesto di fornire elementi utili». In programma anche in questa sede l’audizione del procuratore Salvi. Molto attesa anche quella del prefetto di Catania, Maria Guia Federico.
twitter: @MarioBarresi

15/01/2015

Odevaine e i suoi (tanti) amici siciliani
i punti oscuri del “5 stelle” per migranti

  • Giovedì 15 Gennaio 2015
  • I FATTI,
  • pagina 9

Il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Mineo sorge nell´ex “Residence degli …

Catania. Raccontano che Luca Odevaine, uomo di mondo e potentissimo anello di congiunzione fra mafia e colletti bianchi, non solo fosse di casa in molti palazzi delle istituzioni, a Roma e in Sicilia, ma che a Catania avesse preso proprio casa. Nel vero senso della parola. Un appartamento moderno e ben arredato, alle spalle di corso Italia, accanto a un supermercato bio e a una storica trattoria. Un pied-à-terre molto vicino a quell’altro palazzo (di giustizia) dove adesso sono arrivate le carte che permetteranno ai magistrati della Dda di unire i puntini e tracciare la linea retta da “Mafia Capitale” all’ombra del Vulcano; anzi un triangolo, molto simile a quello delle indagini, con alle estremità Roma, Catania e Mineo. E sussurrano che quel luminoso appartamento (ma questo saranno proprio i magistrati a doverlo accertare, assieme a una lunga lista di altre cose) sia stato messo a disposizione proprio da un uomo di vertice di quel “Consorzio Calatino Terra di accoglienza” che ha accolto Odevaine in Sicilia come un messia. Profumatamente pagato: non soltanto il gettone di 2mila euro al mese da consulente della stazione appaltante del Cara, ma anche – come ammette (o millanta) in un’intercettazione, «su Mineo mi davano 10mila euro al mese, come, diciamo così, contributo».
Già vice capo di gabinetto del sindaco di Roma Walter Veltroni, ex capo della polizia provinciale di Roma con Nicola Zingaretti, il peso di Odevaine, scrivono i pm romani, «risiede nell’essere appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell’Interno-Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione». Ed è lui l’anello di congiunzione fra “Mafia Capitale” e le inchieste a cui lavorano i magistrati della Dda di Catania e della Procura di Caltagirone, a partire dalle carte che riguardano il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, nell’ex “Residence degli Aranci” che ospitava i marines americani. Odevaine, secondo i magistrati, era a libro paga di Massimo Carminati, il capo della “cupola nera”, perché capace di indirizzare l’assegnazione dei migranti dal Cara di Mineo in altri centri di accoglienza di imprenditori ritenuti “amici”. «Luca Odevaine – dettagliano i pm di Roma – senza ambiguità, proprio in forza di quel ruolo che artatamente era riuscito a custodire, confidava al commercialista (Salvatore Buzzi, riferimento di Carminati) la sua capacità di orientare i flussi dei migranti transitanti per Mineo, verso centri di accoglienza vettori di suoi privati interessi». E nelle migliaia di pagine dell’ordinanza allegano un’intercettazione del diretto interessato, in cui ammette che «avendo questa relazione continua con il Ministero sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da giù, anche perché spesso passano per Mineo e poi vengono smistati in giro per l’Italia: se loro c’hanno strutture che possono essere adibite a centri per l’accoglienza da attivare subito in emergenza senza gara. Le strutture disponibili vengono occupate: e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro».
Ma come comincia il rapporto di Odevaine con quello che l’ex terrorista dei Nar affiliato alla Banda della Magliana Massimo, Carminati, parlando del business dei centri d’accoglienza definisce «il posto più grosso, gigantesco»? L’uomo-chiave di “Mafia Capitale” entra nel gruppo dirigente del Cara il 24 maggio del 2013: viene nominato esperto consulente del Consorzio Terre d’Accoglienza su indicazione dell’allora presidente della Provincia, Giuseppe Castiglione, oggi sottosegretario all’Agricoltura e coordinatore regionale dell’Ncd. Per quell’incarico, Odevaine percepirà 8.217 euro fino al dicembre 2013. Poi l’incarico è stato prorogato, per essere quindi riconfermato il 7 gennaio del 2014 dal sindaco di Mineo, Anna Aloisi (Ncd), ex collaboratrice del Cara come avvocato, e nuovo presidente del consorzio Calatino Terre d’Accoglienza, oltre che consulente legale di Alitalia: questa volta il contratto per Odevaine è triennale, fino al 31 dicembre 2016, al costo di 11.712 euro, più i rimborsi spese. Odevaine viene indicato pure fra i tre componenti della commissione che aggiudica, nel luglio 2014, la gara dei servizi del Cara di Mineo: un appalto da 97 milioni di euro che vede arrivare una sola offerta “valida” con un ribasso di appena l’1%. A vincere è il consorzio “Casa della solidarietà”, dietro il quale ci sono gli stessi soggetti che già dal 2011 gestiscono (con un flusso stimato in almeno altri 100 milioni) i servizi del Cara: tra gli altri la Sisifo, legata a Legacoop, la Cascina Global Service vicina a Comunione e liberazione, e la Pizzarotti, azienda di Parma proprietaria degli immobili del Cara di Mineo, piuttosto ignorati dal mercato immobiliare (sulla Statale Catania-Gela ci sono ancora i cartelli, sbiaditi, con la proposta di affitto) prima che arrivasse la manna dell’emergenza immigrazione.
I magistrati romani, ma anche quelli siciliani, dovranno far luce sui rapporti con alcuni esponenti politici siciliani che compaiono nelle intercettazioni ma che non sono in atto coinvolti né tantomeno indagati. Castiglione, tirato in ballo per la prima volta dall’edizione palermitana diRepubblica, ha più volte smentito qualsiasi rapporto borderline con Odevaine, sottolineando come «ci siamo trovati a gestire un’emergenza eccezionale, quella degli sbarchi e dell’enorme flusso di migranti, dando risposte concrete ed efficaci che tutti sembrano aver dimenticato in nome di ricostruzioni e legami che non hanno alcun fondamento». Ricordando che «Odevaine l’ho trovato a Roma al tavolo, era capo della polizia provinciale. Poi lo confermai nel tavolo di coordinamento nazionale. Era un esperto nel settore ed era stato capo di gabinetto del sindaco di Veltroni». In un passaggio delle carte romane viene fuori anche il nome parlamentare catanese del Pd, Anna Finocchiaro, anch’essa del tutto estranea all’inchiesta. «Non ci saranno altre offerte cioè, con chi stanno parlando, si sono tenuti tutti alla larga da Mineo perché è troppo complessa, cioè non è venuto nessuno venerdì», sostiene Odevaine parlando con Carmelo Parabita, «A me – aggiunge – m’ha detto Salvatore Buzzi che è andato a parlare dalla Finocchiaro». Poi aggiunge: «E la Finocchiaro gli ha detto “lascia perdere quella gara è già assegnata”». La senatrice del Pd ha smentito ogni incontro con Buzzi, non ci sono riscontri da parte dei pm romani.
Eppure il lavoro più complicato dei magistrati siciliani non sarà quello di riscontrare alcuni spunti aperti dalle carte romane. Perché in questo filone sull’asse Catania-Caltagirone si dovrà far luce su un’altra serie di elementi. Alcuni citati nell’inchiesta “Mafia Capitale”, come l’ultima gara d’appalto per la gestione del Cara: un bando definito «manifestamente illegittimo» al Sole-24Ore da una fonte dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Gara sulla quale, così come sulle altre contestate da partecipanti esclusi, i vertici del Consorzio calatino rispondono ostentando «certezza sul rispetto delle regole». Ma sono altri, i piccoli e grandi vasi di Pandora che dovranno essere esplorati dalla Dda catanese. A partire dalla ricostruzione del gioco di scatole nelle coop riconducibili quasi sempre agli stessi soggetti e dall’ipotesi di “parentopoli” nelle assunzioni e nelle aperture di società per gestire l’accoglienza e i servizi sul territorio; senza tralasciare il potenziale coinvolgimento “trasversale” di esponenti politici e sindacali non soltanto del Calatino, ma molto conosciuti a livello provinciale e regionale. Oltre a incarichi, contratti, consulenze, sagre, sponsorizzazioni e altri affari sui quali alcuni – tra cui il sito Sudpress – hanno già fatto i conti in tasca al Cara. E adesso, se Roma sembrava parecchio lontana da Mineo, Catania e Caltagirone sono dietro l’angolo da questo meraviglioso “hotel a 5 stelle” che ospita gli ignari migranti. Dove, oltre ai legami col caporalato con gli “ospiti” impegnati a 15 euro al giorno nelle campagne della zona, aleggia anche il fantasma della mafia. Capitale? No: locale.
Ma. B.
twitter: @MarioBarresi

15/01/2015

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