E’ un vero colpo di scena quello che si consuma sulle sorti dell’attuale sindaco di Catania Raffaele Stancanelli.
Per oltre 3 anni e mezzo, in spregio alla legge, l’avvocato di Regalbuto ha mantenuto il doppio, irragionevole quanto illegittimo, incarico di senatore della repubblica e sindaco della città di Catania. E’ stato necessario l’intervento della Corte Costituzionale, sollecitato da un cittadino-elettore che contro Stancanelli aveva presentato ricorso elettorale, per ristabilire un minimo di legalità nella pervicace occupazione di poltrone incompatibili. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale, Stancanelli ha pensato di risolvere la questione dimettendosi da senatore per mantenere la più “pesante” carica di sindaco di Catania. A giochi quasi chiusi il colpo di scena, un altro cittadino-elettore, Antonio Fiumefreddo, decide di intervenire nel giudizio ancora in corso, chiedendo che Stancanelli venga dichiarato decaduto da sindaco della città di Catania. Il giudice riceve la costituzione di Fiumefreddo e si riserva la decisione.
In breve, ed a seguire, proponiamo alcuni stralci dell’elaborato intervento della difesa dell’avvocato Antonio Fiumefreddo, rappresentato dall’avvocato Renata Saitta: viene, infatti, sostenuta la tardività dell’opzione esercitata da Stancanelli, che si sarebbe dimesso da senatore soltanto dopo la sentenza della Corte Costituzionale e non nei termini previsti dalla legislazione vigente. Se questa tesi, molto argomentata e supportata da numerosi riferimenti giurisprudenziali, dovesse venire accolta dal giudice, Stancanelli verrebbe dichiarato decaduto e Catania potrebbe finalmente voltare pagina.
STRALCI DEL RICORSO
Con ricorso elettorale del 21.10.10 sul presupposto della sussistenza della causa di incompatibilità tra la carica di Sindaco del Comune di Catania e di Senatore della Repubblica Italiana dell’Avv. Raffaele Stancanelli, si chiedeva, previo accertamento della predetta causa di incompatibilità, che venisse dichiarata la decadenza dalla carica di sindaco del Comune di Catania nei confronti dell’Avv. Raffaele Stancanelli qualora lo stesso entro dieci giorni dalla notifica del ricorso non avesse esercitato il diritto di opzione.
In via subordinata il medesimo ricorrente chiedeva all’Ill.mo Tribunale che venisse dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione denunciata, e per l’effetto sollevare questione di costituzionalità, per violazione degli art. 3,51,97 della Cost., della legge 15 Febbraio 1953 n. 60, e del D.Lgs 18.8.2000 n. 267 nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato o senatore della repubblica e la carica di sindaco dei comuni con popolazione superiore a 20 mila abitanti, e viceversa.
La Corte Costituzionale con Sentenza n. 277 del 17.10.2007, depositata in data 21.10.2011, ha ritenuto fondata la questione prospettata e per l’effetto ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli art. 1,2,3 e 4, della legge 15 Febbraio 1953 n. 60 (Incompatibilità parlamentari) nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di Sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.
Il Giudizio dinnanzi al Tribunale è stato riassunto con istanza spiegata dal Battaglia , e l’udienza di prosecuzione è stata fissata per il 16.12.2011.
Or, dopo alcuni giorni dalla Pubblicazione della Sentenza della Corte Costituzionale il Sindaco del Comune di Catania ha proclamato le Sue dimissioni dalla carica di Senatore. Ne dovrà fornire prova nel corso della udienza del 16.12.2011.
Sulla scorta dei fatti appena narrati l’odierno interveniente, legittimato in tal senso a partecipare alla presente azione elettorale popolare in quanto cittadino elettore che fa propria la domanda originariamente proposta e che reitera autonomamente ed in proprio ex art. 105 c.p.c., ritiene che l’Avv. Raffaele Stancanelli abbia assunto un comportamento non previsto normativamente e che, pertanto, in applicazione delle norme vigenti deve essere dichiarato decaduto dalle sue funzioni di Sindaco del Comune di Catania. ……
Le richiamate norme oggi in vigore prevedono che l’interessato ha dieci giorni di tempo, pena decadenza, per formulare osservazioni e per eliminare le cause di ineleggibilità e/ incompatibilità. Le cause di incompatibilità , sia che esistano al momento delle elezioni sia che sopravvengono ad essa, importano la decadenza dalle cariche.
Nel caso in cui venga proposta azione di accertamento in sede giurisdizionale il termine di dieci giorni decorre dalla data di notificazione del ricorso.
Com’è noto tale disciplina è stata adottata sia dal legislatore nazionale che regionale siciliano in applicazione del principio sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 160 /97 che ha statuito “Gli art. 3 e 51 Cost. inpongono di superare l’eccessiva severità del sistema attuale, quale risulta definito dalla Giurisprudenza, assicurando la proporzione tra fini perseguiti e mezzi prescelti. Bisogna dunque consentire di rimuovere la causa d’incompatibilità entro un termine ragionevolmente breve, dopo la notifica del ricorso di cui all’art. 9-bis del Dpr n. 570 del 1960, per assicurare un equilibrio fra la ratio giustificativa della incompatibilità e la salvaguardia del diritto di elettorato passivo.
In ordine al termine di dieci giorni, più volte la Corte di Cassazione si è occupata dell’eccezione d’incostituzionalità , rigettandola, dell’art. 7 comma 5 della legge 154 del 1981, per assunta violazione degli art. 3,24, e 51 della Cost. nella parte in cui prevede che il termine di dieci giorni ivi previsto decorre dalla data di notificazione del ricorso giurisdizionale , anzichè dalla data dell’accertamento giurisdizionale definitivo ( Cass. 4327/05).
La stessa Corte ha altresì fissato il principio di cristallizzazione riguardo ai tempi di rimozione delle ineleggibilità – incompatibilità dal quale deriva che”le rimozioni delle cause d’incompatibilità che sopravvengono dopo la proposizione della domanda giudiziale sono irrilevanti”.
Sul punto sembra interessante da ultimo la sentenza n. 294 del 7.11.2011 resa dalla Corte Costituzionale sulla questione della incompatibilità della carica di deputato regionale con quella di assessore o presidente provinciale.
Il Tribunale remittente deduce in detto giudizio la illegittimità costituzionale dell’art.10-sexies comma 1-bis della legge regionale n.29 del 1951 e rileva che nell’ordinamento statale sia l’art. 7 comma 5 della legge 23 aprile 1981, n. 154, che l’art. 69 comma 3 del decreto legislativo 18.Agosto 2000 n. 267 fissano detto termine in dieci giorni decorrenti dalla notifica del ricorso .
…………………….. Potendo tale accertamento durare quanto il mandato, ciò configurerebbe un ingiustificato privilegio che procrastinerebbe, addirittura fino al passaggio in giudicato della sentenza, una situazione giuridica impeditiva dell’esercizio continuativo di due attività tra loro inconciliabili.
Nel merito la Corte ha statuito che per consolidato orientamento le questioni incidentali di legittimità sono ammissibili quando la norma impugnata è applicabile nel processo d’origine e quindi la decisione della Corte è idonea a determinare effetti nel processo stesso. Compete dunque al Tribunale rimettente valutare le conseguenze applicative che potrebbero derivare da una eventuale pronuncia di accoglimento ed in particolare quale norma debba essere applicata nel giudizio principale.
…………………..
Proprio per evitare ciò le norme statali, che regolano l’accertamento in via giudiziale delle incompatibilità, stabiliscono sia per i consiglieri regionali che per gi amministratori locali che il termine di dieci giorni per l’esercizio di opzione decorre dalla notifica del ricorso. Il termine di dieci giorni, la Corte afferma, con ragionamento che possiede una logica giuridica e di conformità a tutto il sistema normativo, appare ragionevolmente breve per assicurare un equilibrio tra la ratio giustificativa della incompatibilità e la salvaguardia del diritto di elettorato passivo.
Nel caso in specie, regolato dalle norme di cui al Capoverso, detto termine non è stato rispettato.
E’ accaduto infatti, che nelle more del giudizio ordinario principale, instaurato nell’Ottobre 2010, (che ha dato origine in via incidentale al giudizio di legittimità), l’Avv. Raffaele Stancanelli, anziché rispettare la suddetta normativa e, conseguentemente esercitare il diritto di opzione nei termini stabiliti dalla legge, ha continuato ad esercitare le sopraddette cariche tra loro inconciliabili. Del tutto arbitrariamente ha atteso l’esito della sentenza della Corte Costituzionale e solo successivamente ha esercitato l’opzione , scegliendo la carica di Sindaco del Comune di Catania.
Or, non esiste nel sistema normativo alcuna legge che giustifichi e legittimi e/o preveda la condotta dell’Avv. Raffaele Stancanelli, il quale, lo si ripete, ha ritenuto di agire al di fuori della normativa vigente.
Conseguentemente va rilevato che le dimissioni tardive dall’ufficio di Senatore proclamate dall’avv. Stancanelli, poiché esercizio di una sorta di arbitraria remissione in termini non prevista normativamente, non possono essere ritenute valide e quindi non possono sanare un comportamento arbitrario. A parere dell’odierna difesa, invece, va senz’altro dichiarata, per tutti i motivi esposti in narrativa la decadenza dell’Avv. Raffaele Stancanelli dall’Ufficio di Sindaco del Comune di Catania.
Infine la medesima difesa a sostegno delle considerazioni e difese sin qui spiegate vuole rilevare altresì che, nel caso in specie, a fondamento della spiegata domanda di decadenza dalla carica di Sindaco del Comune di Catania dell’Avv.to Stancanelli si pone pur il principio dell’efficacia retroattività delle sentenze della Corte Costituzionale di accoglimento dell’incostituzionalità della norma in esame.
Principio, detto, che trova accoglimento in numerose sentenze della Corte Costituzionale, secondo il quale la sentenza che dichiara incostituzionale una norma ha effetto retroattivo quantomeno in collegamento con la lite giudiziaria instaurata, nel corso della quale un giudice abbia sollevato la questione di costituzionalità di una norma di legge, la cui applicazione sia indispensabile per la pronuncia giudiziaria in corso.
Quindi, per evitare incongruenze inaccettabili, si deve ammettere che essenzialmente nel processo a quo la legge dichiarata incostituzionale dalla predetta sentenza abbia efficacia retroattiva. Proprio perché la pendenza del giudizio sarebbe priva di senso se la sentenza di accoglimento da parte della Corte Costituzionale, non spiegasse i suoi effetti proprio in quel giudizio che ha dato origine alla questione.
…………. Inoltre, gli stessi si producono ex tunc, vale a dire anche relativamente ai rapporti sorti anteriormente alla declaratoria di illegittimità, così come chiarito anche dalla Corte di cassazione (vedasi, ad esempio, Cassazione civile, sezione I, sentenza 24 giugno 1995, n. 7162), con il solo limite costituito dai “rapporti esauriti”.
………………
La ratio che giustifica una siffatta interpretazione risiede nel principio per cui la pronuncia di incostituzionalità può esplicare effetti nell’ordinamento se la norma su cui la stessa viene a incidere è, appunto, ancora applicabile: ciò che non accade quando, invece, il rapporto giuridico dalla medesima regolato debba considerarsi “esaurito” secondo quanto precisato in premessa.
Tenendo conto dei suesposti principi, e con riguardo al caso di specie, nessun rapporto si è esaurito nel senso giuridico poc’anzi specificato, posto che v’’è giudizio ordinario in corso, e che, per un principio di coerenza e ragionevolezza, cui la Corte tende, la norma scaturita dal giudizio Costituzionale debba essere applicata, innanzitutto, alla fattispecie che ne ha dato causa, e non ancora definitivamente “esaurita” nei termini sopra indicati.
Una diversa applicazione sarebbe in stridente contrasto on la logica del giudizio incidentale di costituzionalità, la cui ammissibilità è subordinata proprio al presupposto della rilevanza della relativa questione, presupposto che implica necessariamente la definibilità del giudizio a quo, sulla base della richiesta decisione della Corte Costituzionale
Conseguentemente il Tribunale Adito non potrà non tenere conto di tutti detti principi, spiegati dall’odierno interveniente nel momento in cui renderà la Sentenza definitiva in relazione al giudizio a quo.