IL PENTITO SCOMPARSO: COSA HA SVELATO CHE NON DOBBIAMO SAPERE?
È il processo metafora del sistema di Potere catanese, i suoi intrecci trasversali, che passano dai palazzi della politica, a quelli dell’economia, agli ambienti mafiosi sino a palazzo di giustizia. E’ il processo per lo scandalo del nuovo ospedale “Garibaldi”, con annessa costruzione del “Tavoliere”, struttura ricettiva per studenti: un affare gigantesco, il “Garibaldi” nuovo, 120 miliardi di lire per un appalto “assaltato” da interessi faraonici e inconfessabili. Forse anche per questo l’interesse mediatico, a cominciare dalla stampa nazionale, è pressocchè nullo. Il prossimo 4 marzo, davanti alla seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catania (Alfio Scuto, presidente, a latere Gioacchino La Rosa ed Ignazio Santangelo), ricomincerà il processo dopo che la Cassazione ha respinto l’istanza di spostamento del processo da Catania avanzata dall’avv. Cicero che non si è voluto avvalere della prescrizione in primo grado. Troppi e pesanti condizionamenti ambientali –secondo il legale constatazione di una condizione incompatibile con un sereno giudizio.
Ma quasi a smentire la Cassazione, di recente è insorto un altro fatto inquietante: E’ l’ultimo mistero; e riguarda un collaboratore di giustizia che ha avuto un ruolo non di secondo piano nelle vicende mafiose siciliane: si tratta di Calogero Pulci, uomo di fiducia di “Piddu Madonia” a lungo ai vertici di “Cosa Nostra”. Un personaggio Pulci giornalisticamente indicato come “autista” di Madonia: in realtà ha avuto ruoli e incarichi di spessore. Non a caso, è stato consigliere comunale e assessore a Sommatino, il suo comune: per il Pli, corrente di Stefano De Luca. Pulci per anni è stato vicino a Madonia: ha conosciuto uomini e cose di mafia e non solo di quella “militare”. Ebbene, nel novembre del 2000, Pulci è stato sentito dai vertici della Procura della Repubblica di Catania, allora guidata da Mario Busacca: risultato? Non si conosce quanto lui disse agli inquirenti: agli atti dell’inchiesta “Garibaldi” le carte di quell’audizione non ci sono! Sparite? Da cercare? E perché? Cosa ha detto Pulci?
Noi di “Sud” lo abbiamo appreso leggendo l’archiviazione del procedimento penale, a Messina, contro il sostituto procuratore Giuseppe Gennaro. Il riferimento che abbiamo trovato è ai contrasti, ai tempi dell’esplodere dell’inchiesta, fra il sostituto procuratore Nicolò Marino e il Procuratore della Repubblica dell’epoca Mario Busacca. Malgrado Marino avesse chiesto, avendo altri impegni, che il collaboratore non fosse sentito sul “Garibaldi”, ciò avvenne. E cosa è scritto in questa pagina dell’archiviazione? Che il Procuratore della Repubblica Busacca ritenne Pulci “non attendibile”. Ma cosa disse Pulci? Avrà forse dato elementi magari “distonici” rispetto alla costruzione dell’Accusa? In attesa che questo atto salti fuori, possiamo dire ai nostri lettori che Pulci è stato sentito altre volte: in totale, il collaboratore è stato sentito cinque volte dalla Procura di Catania, con particolare riferimento alle vicende dell’imprenditore Sebastiano Scuto, lo scorso anno condannato per mafia ma al quale è stata restituita –quasi totalmente la sua azienda sequestrata.
Insomma, sulle condotte dell’inchiesta “Garibaldi” continuano le perplessità. I “pentiti” nel processo “Garibaldi” hanno vicende controverse, come nel caso di Maurizio Di Gati, personaggio di grande peso dentro Cosa Nostra. Il suo contributo arrivò alla penultima udienza di primo grado, dopo la trasmissione dei verbali dalla Procura di Palermo. Ma cosa ha raccontato Di Gati? Nei verbali si parla dei politici Nuccio Cusumano (assolto in primo grado, con un caso di prescrizione) e Pino Firrarello, all’epoca dei fatti, rispettivamente sottosegretario al Tesoro del governo D’Alema e senatore dell’Udr. Firrarello è stato condannato a due anni e mezzo, in primo grado, per turbativa d’asta aggravata dall’aver favorito o agevolato Cosa Nostra. In appello, la Procura Generale, in sede di requisitoria, ha rilevato la prescrizione del reato.
Di Gati parla anche di altri personaggi dell’inchiesta, dall’imprenditore Vincenzo Randazzo, a Valerio Infantino, già commissario regionale dell’Iacp di Catania, condannati in primo grado. Ancora Di Gati parla dell’imprenditore mafioso, legato al clan Santapaola, il dichiarante Giuseppe Mirenna e dell’imprenditore in odore di mafia Carmelo Milioti, ucciso, in un agguato in “stile” Albert Anastasia, con un colpo di lupara alla testa, in una sala da barba a Favara, il 13 agosto 2003. Ecco quanto racconta Di Gati: “nel 1997 Vincenzo Randazzo partecipò ad alcune gare d’appalto a Catania, tra le quali una per la costruzione della Casa dello Studente. Prima della gara il Randazzo venne contattato dalla famiglia mafiosa di Catania in quanto non era gradita la sua presenza dal momento che tutte le gare dovevano essere aggiudicate all’impresa Romagnoli. Per riuscire a ‘spianarsi la strada’ il Randazzo contattò allora Carmelo Milioti e successivamente Vincenzo Licata, come ho già riferito. In quel periodo c’era un grosso appalto che come lei mi rammenta riguardava l’Ospedale Garibaldi di Catania.” Su questo affare, in particolare, Di Gati dichiara: “Anche questo appalto è stato oggetto di trattative tra Cosa Nostra agrigentina e Cosa Nostra catanese tanto che si raggiunse un accordo tra le due fazioni. In definitiva ci fu la spartizione degli appalti: Vincenzo Randazzo vinse la gara per la costruzione della Casa dello Studente e la ditta Romagnoli vinse la gara per l’appalto dell’ospedale. Confermo di aver appreso da Randazzo che Nuccio Cusumano si interessò, su richiesta del Randazzo per fare nominare come presidente della commissione di gara per l’appalto della casa dello studente, Valerio Infantino da me conosciuto. Aggiungo che sempre da Randazzo e poi da Mirenna ho appreso che si è interessato a queste vicende anche l’on. Firrarello, anch’egli catanese. Questo interessamento ha riguardato anche la gara per l’ospedale Garibaldi che doveva essere vinto da Romagnoli secondo l’accordo mafioso di cui ho già riferito”.
Tornano nelle parole del nuovo collaboratore racconti di incontri al vertice per gli affari e di inquietanti intrecci mafia politica. “Ricordo che in particolare che in una occasione conviviale ho appreso da Randazzo e da Mirenna, dopo che erano state svolte entrambe le gare, che c’era stata una riunione a Roma tra Firrarello, suo genero Castiglione, anch’egli onorevole, l’on. Cusumano e gli stessi Randazzo e Mirenna nel corso della quale erano stati pianificati interventi per ottenere finanziamenti per ulteriori lavori pubblici in Catania, quali ad esempio quelli all’aeroporto, sempre con l’apporto di questi politici che mi furono indicati come ‘a disposizione’. Il Mirenna aggiunse che appunto tramite Randazzo aveva conosciuto il Firrarello, il Cusumano e il Castiglione ed era per questo motivo ‘galvanizzato’…” E ancora: “…nella stessa occasione seppi che l’Infantino doveva avere come compenso illecito circa 5070 milioni per ogni gara. Me lo disse espressamente lo stesso Infantino e me lo confermò il Randazzo. Ciascun politico (cioè Firrarello, Cusumano e Castiglione), avrebbe dovuto percepire il 3% sulla base d’asta aggiudicata. La cosca di Agrigento avrebbe incassato 500600 milioni per l’appalto vinto dal Randazzo, mentre i catanesi avrebbero preso il 2% oltre a fare subappaltare parte dei lavori o altro, a soggetti vicini a Cosa Nostra”.
Giuseppe Castiglione, all’epoca dei fatti assessore del governo regionale di centrosinistra guidato da Angelo Capodicasa, è stato assolto, in appello: dopo la richiesta di rito abbreviato, era stato condannato, in primo grado, per tentativo di turbativa d’asta. L’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa era caduta, davanti al Gup. Le dichiarazioni di Di Gati fanno riferimento anche ai presunti interessamenti di una serie di soggetti mafiosi per condizionare l’esito di appalti: fra questi Giuseppe Intelisano (“Pippu ‘u niuru”), all’epoca ritenuto reggente della cosca Santapaola (assolto in primo grado)…”I catanesi –racconta Di Gati parteggiavano per la impresa Romagnoli del Nord. Lì sappiamo che la gara si doveva rifare e Mirenna disse che al Tar avevano le mani giuste per far vincere l’appalto alla Ditta che dicevano loro. Tramite Vincenzo Randazzo, sapevamo che l’onorevole Cusumano, suo compare, aveva messo a capo della commissione tale Infantino Valerio, impiegato alla Regione che io ho conosciuto personalmente…” Al riguardo, il Pm chiede: e che tipo di mani sono dentro al Tar? Di Gati risponde: “E non lo so….”. Il Pm continua: “Abbiamo le mani al Tar” e il collaboratore replica: “Abbiamo le mani al Tar e possiamo fare vincere l’impresa che diciamo noi…Questo lo diceva Giuseppe Mirenna che uno che ne capiva delle varie imprese e dei vari…e dei vari sistemi per fare le gare…”
CHI E’ CALOGERO PULCI
Calogero Pulci era l’autista di Piddu Madonia, il boss di Vallelunga (CL) componente della Cupola di Cosa Nostra, ma è stato anche assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Sommatino e titolare di alcune imprese edili.
Questa condizione ha consentito al Pulci di dare un contributo importante come collaboratore di giustizia svelando l’intreccio scellerato tra mafia, politica ed affari. Calogero Pulci è tra i primi a parlare del Sen. Dell’Utri ed è stato ritenuto credibile dalla Procura Nazionale Antimafia e dalle Procure di Firenze, di Reggio Calabria, di Palermo, di Agrigento, di Caltanissetta.
Svariate Corti hanno emesso sentenze di condanna sulla scorta delle dichiarazioni del Pulci e tra queste la posizione dell’ex collaborante è stata vagliata anche dalla Corte di Appello di Catania per ultima nell’ottobre del 2010.
Ma, per la Procura di Catania, guidata da Busacca, Calogero Pulci non era credibile. Gli inquirenti catanesi andarono però ad interrogarlo per ben 5 volte.
Che fine hanno fatto quei verbali di interrogatorio?
IL DIRETTORE
Fonte sudpress del 05-03-2011